martedì 14 maggio 2013

Marina Abramovic, arte sociale?

L’inverno scorso ho visto con gli inUTILI amici il film sulla vita di Marina Abramovic. Un’artista che già conoscevo ma che ho potuto approfondire: Marina Abramovic, The artist is present.


Un documentario che assomiglia un po’ troppo a un film d’amore, ma che fa capire bene quanto un performer, in particolare, lei vivano la vita come una continua performance.
Mentre lo vedevo mi rendevo conto che ogni momento della sua giornata ogni suo pensiero, gesto, reazione sono all’interno della performance o del pensiero della perfomance.
Una situazione assoluta.

Molte cose che ha fatto non fanno parte delle mie corde le trovo troppo forti, troppo violente anche se le posso capire.
Al MOMA di New Yor, dove è stata seduta 700 ore ad attendere i propri interlocutori che avevano come unico limite di tempo gli orari di apertura del museo, ha messo in scena una installazione umana meravigliosa.
Lei davanti al pubblico, un individuo alla volta. Si fissano creano un legame, evanescente, temporaneo, forte, potente, ogni volta unico.
Unico è stato sicuramente, dopo 23 anni, l’incontro con il suo ex, Ulay, quello con cui ha vissuto esperienze intense di vita-arte-performance, quello con cui per lasciarsi sono andati sulla muraglia cinese, sono partiti uno da un capo e uno dall’altro e quando si sono incontrati si sono detti addio per sempre.

Sicuramente è una donna che ha un’energia eccezionale, un carisma raro.
Ma quello che ho visto mi ha fatto pensare, lei è riuscita a mettersi in contatto con l’altro, meglio, a permettere all’altro di creare un contatto con sè stesso, con i propri dolori. Quanta gente soffre, ognuno di noi ha le proprie sofferenze.
Lei è stata il tramite, l’elemento catalizzatore dei sentimenti dell’altro.
Come al solito io ne faccio una questione affettiva. Non posso farne a meno, mi sono sempre definita una squilibrata emotiva.
E ora è stato pubblicato un libro di Marco Anelli con una selezione di ritratti delle persone che si sono messe in relazione con l’artista.
Guardando quel film allora e quei ritratti ora non posso che riconoscere in quegli occhi, in quelle smorfie della bocca, in quei modi di piegare le teste: aperture, chiusure, diffidenze, supponenza, amore, gioia, dolore, presunzione, modestia, rimpianto, rimorso.
Vita. Tanta vita.
Azione e reazione.


Mi verrebbe quasi da dire che The artist is present possa essere difinita arte sociale.

Immagini:
The Artist is Present: Marina Abramovic
MoMA, New York
2010 © Marco Anelli

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